Non c'è niente da fare: la prima vittoria è Vincere contro noi stessi. E dopo questa prima vittoria possiamo già cominciare ad avere una mentalità vincente, perchè sappiamo vincere i nostri difetti, e ancora non abbiamo battuto nessuna squadra.
Il secondo passo è vincere contro le difficoltà, che è un'altra cosa rispetto a noi, perchè quando parlo dei nostri limiti parlo di limiti personali, oltre che della squadra, non limiti in generale. Poi ci sono altre difficoltà di ogni tipo che dobbiamo risolvere, che dobbiamo battere. La nostra squadra oggi è famosa a livello internazionale per un fatto che sembra banale, ma non lo è: siamo famosi perchè non ci lamentiamo mai. Sembra poco, ma non è poco. Potete controllare tutti i giornali dall'89 a oggi, non è mai capitato che dopo una sconfitta noi dicessimo: "È stato il fuso orario, avevamo un giocatore con un'indigestione, abbiamo dormito male, l'arbitro..." Mai. Non l'ho detto mai. Perché ? Perchè anche questo modo di comportarsi fa parte della mentalità Vincente. Tutti possono spiegare perchè non si è riusciti a fare una cosa, pochi riescono a farla lo stesso. E per questo occorre vincere anche le piccole difficoltà. Ad esempio noi siamo una delle poche squadre italiane che quando va all'estero non si porta dietro gli spaghetti, l'olio, il prosciutto, la macchina del caffè. ..Si dice: "Poverini! Se non hanno gli spaghetti a mezzogiorno si deprimono", però dopo bisogna giocare contro venticinquemila brasiliani, che urlano dall'inizio alla fine, e lì non ci dobbiamo deprimere, perchè siamo duri, dobbiamo vincere. Per le altre cose però non siamo così duri. È un po' come preparare l'esercito per la guerra stando in un albergo a cinque stelle: "Stiamo in un albergo a cinque stelle così quando andiamo in guerra siamo in condizioni fisiche migliori." Non credo che questo accada. Il passaggio dal fango dell'addestramento agli spari veri è comunque difficilissimo, ma almeno se siamo abituati al fango è già qualcosa.
Quindi noi non ci portiamo gli spaghetti, non ci alleniamo in posti ideali. perchè se ci alleniamo dove fa sempre fresco, quando poi dobbiamo giocare a Cuba, che è calda, perdiamo. Invece noi dobbiamo vincere, dove fa freddo e dove fa caldo, sempre.
Non riuscire a vincere le difficoltà porta a quella che chiamo la "cultura degli alibi", cioè il tentativo di attribuire il motivo di un nostro fallimento a qualcosa che non dipende da noi. Di solito ci si rifà a cose molto grandi, strutturali, storiche, del genere caratteristiche dei popoli ("Noi italiani siamo così, lo sono nei cromosomi, e allora non c'è niente da fare"). Ma la cultura degli alibi utilizza anche spiegazioni più banali. Nella pallavolo, ad esempio, si verifica questa situazione: lo schiacciatore, che riceve la palla un po' staccata dalla rete e tira fuori, dice al palleggiatore "Prego, la palla più vicina", il palleggiatore, che a sua volta ha ricevuto la palla un pò staccata e ha alzato male, si gira e dice alla ricezione "Ragazzi, la ricezione!", quello che ha ricevuto la palla dall'avversario non può dirgli "Batti più facile", allora dice "Quella luce mi dà nell'occhio", allora devo chiamare gli elettricisti, invece di allenare Adottando la cultura degli alibi elimino la possibilità di utilizzare il feedback, che sta alla base dell'apprendimento.
Il terzo livello di vittoria è vincere contro gli avversari, e qui viene il problema della qualità, nostra e degli altri, ed il problema di misurarla. In tal senso le statistiche ci servono a non fidarci delle semplici impressioni e anche a misurare in cosa dobbiamo migliorare.
Ricerca della qualità non significa infatti ricerca della perfezione, perchè quella della perfezione è un'idea perdente, per il semplice motivo che non è possibile raggiungerla. Se si pretende la perfezione, otteniamo il risultato che il giocatore, vedendo che non ci riesce, comincia a considerarsi in modo negativo, perchè non raggiunge l'obiettivo
che gli abbiamo dato. Uno dei compiti di un vero allenatore è saper individuare fra tutti gli elementi da migliorare in una partita quelli che sono decisivi per la vittoria. Questo significa stabilire delle priorità, e credo che sia una delle cose più difficili da fare. ma stabilire delle priorità è l'unico modo per guidare il processo che porta alla vittoria. Fra tutti i difetti dei giocatori occorre individuarne tre. e su quelli bisogna "martellare", finche non si ottiene il salto di qualità. mentre gli altri li tocchiamo. ma non possiamo pretendere per tutti 10 stesso livello di applicazione.
Vorrei dire qualcosa anche sul metodo. n metodo, senza la conoscenza specifica, profonda di quello che uno fa, è una scatola vuota. Noi come squadra abbiamo applicato un metodo. ma la ragione vera per cui abbiamo fatto un salto di qualità è che la squadra gioca meglio, e perchè una squadra giochi meglio occorre che il suo allenatore sappia di pallavolo, prima che di psicologia, di metodi e di altro. Occorre quindi il metodo, ma soprattutto la conoscenza specifica.
Il secondo passo è vincere contro le difficoltà, che è un'altra cosa rispetto a noi, perchè quando parlo dei nostri limiti parlo di limiti personali, oltre che della squadra, non limiti in generale. Poi ci sono altre difficoltà di ogni tipo che dobbiamo risolvere, che dobbiamo battere. La nostra squadra oggi è famosa a livello internazionale per un fatto che sembra banale, ma non lo è: siamo famosi perchè non ci lamentiamo mai. Sembra poco, ma non è poco. Potete controllare tutti i giornali dall'89 a oggi, non è mai capitato che dopo una sconfitta noi dicessimo: "È stato il fuso orario, avevamo un giocatore con un'indigestione, abbiamo dormito male, l'arbitro..." Mai. Non l'ho detto mai. Perché ? Perchè anche questo modo di comportarsi fa parte della mentalità Vincente. Tutti possono spiegare perchè non si è riusciti a fare una cosa, pochi riescono a farla lo stesso. E per questo occorre vincere anche le piccole difficoltà. Ad esempio noi siamo una delle poche squadre italiane che quando va all'estero non si porta dietro gli spaghetti, l'olio, il prosciutto, la macchina del caffè. ..Si dice: "Poverini! Se non hanno gli spaghetti a mezzogiorno si deprimono", però dopo bisogna giocare contro venticinquemila brasiliani, che urlano dall'inizio alla fine, e lì non ci dobbiamo deprimere, perchè siamo duri, dobbiamo vincere. Per le altre cose però non siamo così duri. È un po' come preparare l'esercito per la guerra stando in un albergo a cinque stelle: "Stiamo in un albergo a cinque stelle così quando andiamo in guerra siamo in condizioni fisiche migliori." Non credo che questo accada. Il passaggio dal fango dell'addestramento agli spari veri è comunque difficilissimo, ma almeno se siamo abituati al fango è già qualcosa.
Quindi noi non ci portiamo gli spaghetti, non ci alleniamo in posti ideali. perchè se ci alleniamo dove fa sempre fresco, quando poi dobbiamo giocare a Cuba, che è calda, perdiamo. Invece noi dobbiamo vincere, dove fa freddo e dove fa caldo, sempre.
Non riuscire a vincere le difficoltà porta a quella che chiamo la "cultura degli alibi", cioè il tentativo di attribuire il motivo di un nostro fallimento a qualcosa che non dipende da noi. Di solito ci si rifà a cose molto grandi, strutturali, storiche, del genere caratteristiche dei popoli ("Noi italiani siamo così, lo sono nei cromosomi, e allora non c'è niente da fare"). Ma la cultura degli alibi utilizza anche spiegazioni più banali. Nella pallavolo, ad esempio, si verifica questa situazione: lo schiacciatore, che riceve la palla un po' staccata dalla rete e tira fuori, dice al palleggiatore "Prego, la palla più vicina", il palleggiatore, che a sua volta ha ricevuto la palla un pò staccata e ha alzato male, si gira e dice alla ricezione "Ragazzi, la ricezione!", quello che ha ricevuto la palla dall'avversario non può dirgli "Batti più facile", allora dice "Quella luce mi dà nell'occhio", allora devo chiamare gli elettricisti, invece di allenare Adottando la cultura degli alibi elimino la possibilità di utilizzare il feedback, che sta alla base dell'apprendimento.
Il terzo livello di vittoria è vincere contro gli avversari, e qui viene il problema della qualità, nostra e degli altri, ed il problema di misurarla. In tal senso le statistiche ci servono a non fidarci delle semplici impressioni e anche a misurare in cosa dobbiamo migliorare.
Ricerca della qualità non significa infatti ricerca della perfezione, perchè quella della perfezione è un'idea perdente, per il semplice motivo che non è possibile raggiungerla. Se si pretende la perfezione, otteniamo il risultato che il giocatore, vedendo che non ci riesce, comincia a considerarsi in modo negativo, perchè non raggiunge l'obiettivo
che gli abbiamo dato. Uno dei compiti di un vero allenatore è saper individuare fra tutti gli elementi da migliorare in una partita quelli che sono decisivi per la vittoria. Questo significa stabilire delle priorità, e credo che sia una delle cose più difficili da fare. ma stabilire delle priorità è l'unico modo per guidare il processo che porta alla vittoria. Fra tutti i difetti dei giocatori occorre individuarne tre. e su quelli bisogna "martellare", finche non si ottiene il salto di qualità. mentre gli altri li tocchiamo. ma non possiamo pretendere per tutti 10 stesso livello di applicazione.
Vorrei dire qualcosa anche sul metodo. n metodo, senza la conoscenza specifica, profonda di quello che uno fa, è una scatola vuota. Noi come squadra abbiamo applicato un metodo. ma la ragione vera per cui abbiamo fatto un salto di qualità è che la squadra gioca meglio, e perchè una squadra giochi meglio occorre che il suo allenatore sappia di pallavolo, prima che di psicologia, di metodi e di altro. Occorre quindi il metodo, ma soprattutto la conoscenza specifica.
Julio Velasco