Pubblico questo pezzo scritto da una persona che ieri, in una mail ha condiviso una cosa realmente importante.
Il mio vuole essere un omaggio alla sua forza.
Sono passate da poco le cinque del pomeriggio, e già sulla collina di Nankhwali scende il buio. Questo è il momento della giornata che preferisco, perché in contemplazione del meraviglioso mondo che ogni giorno mi si affaccia dalla konde (veranda) della missione, rimango in ascolto della vita d’Africa e alla ricerca di un senso nella mia anima. Mi ha sempre fatto paura andare così in esplorazione dei miei sentimenti, ma qui tutto sembra avere un senso, tutto sembra essere facile e tutto si vive senza paura di sbagliare e senza paura di essere diversi. Eppure se riesco a pensare per la prima volta a me stessa, mi sembra di capire di quanto non sia sola nel mondo, ma parte di un gruppo di miliardi, e di miliardi di esseri e realtà, una tra tante, eppure, tra tante… insostituibile. Ormai piove ininterrottamente da due giorni, e se guardo in lontananza, all’orizzonte, là nel lago Malawi, vedo avvicinarsi, ancora più prepotente, il monsone estivo che soffia con forza dalle coste del Mozambico. Arriveranno solo gli strascichi delle grandi piogge, ma mi aspetto le strade allagate e i campi sommersi. Ancora una volta rumori e colori mi investono. Il sole tende gli ultimi raggi di calore arancione, mentre in lontananza si vedono già, immerse nell’oscurità, i primi focolai dei villaggi. Tamburi in festa, come sempre, nonostante tutto, e gli ippopotami che iniziano la loro danza della fame verso i campi appena seminati. E’ strano come dopo così tanto tempo, dopo così tante volte che assaporo questa vita, riesca ancora a stupirmi e ad emozionarmi. E mai mi stancherò di farlo. Oggi Amay (signora) Banda è venuta alla missione per avvertirci che c’era una ragazza che doveva partorire. Ho dovuto lasciare per un momento il mio lavoro di smistamento dei medicinali, per andare insieme a suor Salete al dispensario. Avevo paura. Non sapevo come comportarmi, ed ero anche quasi scocciata. Il giorno prima avevo visto morire un bambino, e mi sembrava quasi uno scherzo. E invece non era uno scherzo, ma un segno del destino. Era la vita che continua, ogni giorno, anche nelle difficoltà più insormontabili. Quando ho preso tra le braccia il piccolo Paolo, così piccolo e così fragile, non ho dimenticato Sam morto il giorno prima, ma ho ricordato che la vita, anche nel suo aspetto più crudele ha un senso. Strano e difficile da capire, quasi inaccettabile, ma è così. Lottare per vivere e per far vivere. Lottare perché di Sam ne muoiano sempre di meno, e perché nel sogno della vita non possano morirne più. E lottare perché di Paolo ne nascano ancora e vivano come bambini veri, ovunque e comunque. A tenere tra le braccia il piccolo Paolo, mi son sentita io ancora più piccola di lui, quasi un’inezia in confronto della vita bellissima che avevo davanti, eppure anche così forte da desiderare, da potere, da pretendere di cambiare le cose. Il desiderio di maternità si è così tanto rinforzato in me non per un fatto egoistico di avere qualcuno d’amare, ma per un fatto presuntuoso di costruire un futuro migliore. Chissà domani cosa mi riserverà questo posto, cosa mi regalerà questa gente. Nell’attesa assaporo il buio di quest’Africa che mi avvolge intimamente e mi stravolge il cuore.